Messina
di Sergio Palumbo
HOME | cronologia | bibliografia| articoli | interviste | saggi | tv e radio | letteratura| arte| musica| messina | info e mail

 

Scilla e Cariddi, il mito del mare

 

Scilla e Cariddi, il mito del mare è un video della durata di 4’37, piccolo assaggio, con qualche scena-campione e due esemplari interviste fra le tante appositamente realizzate, di un documentario sul microcosmo ambientale e culturale dello Stretto di Messina per il quale Sergio Palumbo, autore dei testi, sceneggiatore e regista, lavora da anni con originali riprese e ricostruzioni cinematografiche. I mitici mostri di Scilla e Cariddi sono le creature più tipiche, quasi epònimi, dello Stretto di Messina (lo Scill’e cariddi del romanzo Horcynus Orca dello scrittore Stefano D’Arrigo), luogo strategico per eccellezza posto al centro del Mediterraneo e storicamente importante già mezzo millennio prima della guerra di Troia.

 


Il contenuto del video

Il video si apre con un’alba sullo Stretto di Messina sulle evocative note del Lever du jour di Ravel (da Daphnis et Chloé) e una ricostruzione dell’antica caccia al pescespada con il luntro, emblema di una tradizione marinara che dura da più di duemila anni e di una cultura popolare che si perde nel mito. Dopo un suonatore di “brogna”, la conchiglia usata un tempo dai marinai come segnale acustico, si scorge la rupe di Scilla, il cui panorama ha affascinato artisti d’ogni tempo, e appare nel porto falcato di Messina la cinquecentesca lanterna di San Raineri, capolavoro di architettura militare del Montorsoli, considerata nel mondo dei naviganti il faro per antonomasia da cui si gode uno degli scenari più suggestivi del canale fra Sicilia e Calabria.
Lo scrittore Vincenzo Consolo e l’etnoantropologo Luigi Lombardi Satriani, profondi conoscitori dell’area magnetica dello Stretto, parlano dell’importanza di questo braccio di mare ricco di storia, di simboli e di incantamenti. L’Etna fa il “ponte”, segno premonitore della “sciroccata”, formando una striscia di fumo nel cielo che idealmente congiunge l’isola con la costa calabra, mentre le riprese subacquee rivelano segreti e bellezze sottomarine dello Stretto. Quindi scorrono immagini dei fuochi di San Giovanni a Capo Faro, residuo pagano di un rito apotropaico collegato agli arcaici culti del sole e della purificazione, e di un pescatore che “taglia” con un coltello “magico” la tromba marina, spettacolare turbine di vento che provoca danni ai natanti lungo i litorali. Alla scena con un cantastorie che racconta la leggenda di Colapesce, fantastico uomo-anfibio immerso nelle acque dello Stretto, segue la visione del devoto pellegrinaggio via mare della Madonna dal villaggio messinese di Ganzirri al venerato santuario calabrese di Polsi.
Il video si chiude ancora sulla caccia al pescespada con i pittoreschi richiami di un vecchio pescatore e una frase del grande storico Fernand Braudel («Il mare offre sul proprio passato la più sbalorditiva e illuminante delle testimonianze»), che riassume lo spirito di un sito unico al mondo, sospeso fra realtà e sogno, le cui peculiarità assumono dimensione universale.


"Pesca del pescespada a Scilla" (1949)
di Renato Guttuso

 

__________________________________


POETI E PITTORI STREGATI DALLO STRETTO


Un luogo nel mito dal leggendario Omero
al contemporaneo Stefano D’Arrigo

Il saggio di Sergio Palumbo, intitolato “La magia dello Stretto”, è apparso sulla rivista d’arte e cultura siciliana “Kalós” nel 2004. L’autore torna a occuparsi di un tema a lui caro, al centro di suoi studi, articoli, programmi e documentari televisivi, ma che ora in questo denso saggio acquista valore esemplare grazie a un quadro sinottico che dà effettivamente un’idea precisa di come lo Stretto di Messina sin dall’antichità sia assurto a straordinario tòpos artistico e letterario universale. Corredato da un ricco apparato iconografico, esso documenta infatti il Grand Tour sviluppatosi nel tempo alla scoperta dello Stretto, luogo di fascinazione, di insidie e di magie, motivi ispiratori per celebri scrittori e artisti d’ogni epoca. Se ne pubblica qui una sintesi.

 

 

1. Il triangolo del Basso Tirreno


“Scylla et Charybdis” (1705),
incisione su rame del XVIII secolo di autore ignoto

Se lo Stretto di Messina, il braccio di mare “dalle profondità oceaniche” tra la sicula sponda e quella calabra, è considerato un sito unico al mondo, certo lo si deve anche al ruolo decisivo esercitato dalla fascinazione. L’uomo sin dalla notte dei tempi ha conferito un alone magico e fiabesco a questo luogo – dove “il mare è mare” per dirla con lo scrittore Stefano D’Arrigo, dove la luce metafisica può generare un rarissimo effetto ottico come quello della Fata Morgana, dove l’ambiente si caratterizza per l’eccezionalità di certi suoi fenomeni naturalistici –. Il triangolo del Basso Tirreno, compreso fra le coste campane, l’arcipelago eoliano e lo Stretto di Messina fino all’Etna, ha una rilevanza particolare, già a partire dalla mitologia classica. Da Scilla e Cariddi a Eolo, dalle sirene alle Rupi erranti, da Polifemo a Vulcano, signore del fuoco che ha le sue fucine nelle viscere dell’Etna, tutto concorre in quest’area magnetica ad attirare gli antichi eroi in cerca di gloria e d’avventura.

 

 

2. Omero, il primo cantore dei miti


Messina: “Fontana di Orione” (1547)
di Giovanni Angelo da Montorsoli

Il primo a trasmettere un’immagine di questo sito, poetica e favolosa insieme, è Omero, il leggendario aedo greco che contribuì a creare il mito dello Stretto sin dall’antichità col narrare nell’Odissea il terribile impatto con Scilla e Cariddi. Le memorabili correnti di marea, che fanno tuttora ribollire le acque dello Stretto di Messina, oltre a Omero, suggestionarono pure Virgilio, che le cita nell’Eneide, e Dante Alighieri, che le menziona nella Divina Commedia, e altri ancora, come Torquato Tasso, Galileo Galilei e Hans Christian Andersen (1805-1875), il famoso scrittore di fiabe, giunto nel 1842 fin in Sicilia per osservare il portentoso fenomeno. La tradizione mitologica vuole che fu il potente dio del mare Poseidone, il Nettuno latino, a staccare con un colpo di tridente la Sicilia dalla Calabria. La devozione degli antichi colonizzatori ellenici a questo dio è ben espressa dall’Inno a Poseidon, frammento lirico di anonimo greco recuperato e tradotto dal poeta Nobel Salvatore Quasimodo (1901-1968), con un chiaro riferimento al mito di Arione, il citaredo salvato dai delfini attraverso le “avverse correnti” dello “Scill’e cariddi”. Mare e terra pullulavano di fantastiche creature come le sirene, che avevano Capo Peloro per dimora, a detta di alcuni logògrafi, e i ciclopi, che, secondo un’antichissima favola, costruirono con il gigante Orione, il porto di Zancle, l’odierna Messina, lì dove Saturno aveva gettato la sua falce in mare.


Messina: “Fontana del Nettuno” (1557)
di Giovanni Angelo da Montorsoli

 

 

3. La crociata di Riccardo Cuor di Leone



Veduta prospettica di una fantasiosa
Messina medievale in una miniatura di anonimo

Tale ricchezza di fantastiche storie si spiega col fatto che il passaggio attraverso gli Stretti ha sempre rappresentato un grave rischio per i naviganti e ha alimentato l’immaginario collettivo. Addirittura certi avvenimenti di notevole rilevanza storica o anche il solo passaggio di personaggi illustri hanno finito per assumere anch’essi valore mitopoietico. Il porto di Messina, per esempio, fu covo di corsari e tempio di crociati, cantiere ed emporio, fortezza e scalo. Durante il Medioevo esso fu anche sulla rotta delle spedizioni via mare dei crociati in Terrasanta. Fiorente videro il porto peloritano, secondo la descrizione data dal geografo arabo Edrisi, nel 1190 il re di Francia Filippo Augusto e il sovrano d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone, diretti in Oriente per la terza crociata. Anche questo episodio, passato alla storia non senza rimandi leggendari, s’intreccia saldamente al secondo grande ciclo dell’immaginario letterario nell’area dello Stretto, vale a dire quello medievale e cristiano, che si aggiunse, spesso sovrapponendosi nelle narrazioni popolari, ai classici miti degli dei “falsi e bugiardi”.

 

 

4. Da re Artù alla Fata Morgana


"Il prospetto della città di Reggio nel canale di Messina
con la vaga veduta della fata morgana" (1774), incisione su rame di Guglielmo Fortuyn

Portate dai normanni, arrivarono perfino le nordiche leggende della cosiddetta “materia” carolingia e bretone. Le imprese di Carlo Magno e dei paladini di Francia o quelle di re Artù, dei cavalieri della Tavola rotonda e di mago Merlino presero piede con originali varianti sull’isola. Tramite i normanni, dunque, il “meraviglioso” – per usare un’espressione di Gervasio di Tilbury – ebbe un nuovo e non meno copioso corso rispetto all’omerica “età dell’oro”. Di sicura ascendenza celtica sono le leggende della Fata Morgana e di Artù nell'Etna e, forse, lo è pure quella di Risa, la misteriosa città sommersa nel lago di Capo Faro, all’estrema punta del litorale messinese, da rapportare a favolosi racconti bretoni, e speculare alla rinomata leggenda di Ys.

 

 

5. Cervantes e la battaglia di Lepanto


Messina: Don Giovanni d’Austria (1572)
di Andrea Calamech

Ma la storia fornisce un altro interessante esempio di mitopoiesi. Proprio dal porto di Messina, dove s’era radunata, mosse nel 1571 l’armata navale cristiana della cosiddetta “Lega Santa”, capitanata da Don Giovanni d’Austria, per affrontare e sconfiggere nelle acque greche di Lepanto la flotta ottomana. Allo scontro navale di Lepanto, come è noto, partecipò anche lo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes (1547-1616) l’autore del celebre Don Chisciotte, che, ferito, venne curato nel Grande Ospedale di Messina, città ricordata in ben due sue Novelle esemplari (1613): Il dottor Vetrata e L’amante generoso. Inoltre, proprio nel suo capolavoro, il Don Chisciotte appunto, Cervantes ricorda Colapesce, fantastico uomo-anfibio che vive nelle acque dello Stretto, assai caro alla letteratura popolare messinese.

 

 

6. Una fiabesca città di Bruegel


“Paesaggio con la caduta di Icaro” (1554-1563)
di Pieter Bruegel il Vecchio

Non molti anni prima il pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio (1528/30-1569), sostando prima a Reggio poi a Messina, aveva immortalato l’incursione barbaresca del 1552 in suoi mirabili disegni ripresi poi un’infinità di volte in incisioni successive da altri artisti. In Paesaggio con la caduta di Icaro (1554-1563), Bruegel invece si è ispirato al classico racconto di Ovidio nelle Metamorfosi e l’ideale veduta della città di Messina, con il caratteristico porto falcato, è perfettamente inserita in una dimensione mitica. Va da sé che anche fatti reali come questi, col tempo, vengano mitizzati o comunque aiutino a creare un’aura leggendaria attorno a un determinato luogo. Il che vale anche per un tragico avvenimento come il terremoto del 1908, su cui si è accumulata una vasta letteratura, lasciando il segno perfino in autori come Verga e Pirandello, Julien Green e Maksim Gorkij.

 

 

7. Citazioni di Messina, da Boccaccio a Nietzsche


“Veduta di Messina” (1740 circa) di Juan Ruiz

Celebri scrittori di mare, quali Herman Melville (1819-1891) e Joseph Conrad (1857-1924), in navigazione nel Mediterraneo, non mancarono di fare una sosta nel porto falcato di Messina, rispettivamente nel 1857 e nel 1879. E del resto questa città, come poche altre del Mezzogiorno d’Italia, vanta tante considerevoli citazioni per ambientazione letteraria e per esplicito riferimento del suo nome già nei titoli delle opere.Da Lisabetta da Messina (1349-53) di Giovanni Boccaccio (1313-1375), a La fidanzata di Messina (1803) di Friedrich Schiller (1759-1805), dagli Idilli di Messina (1882) di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1899) a Le donne di Messina (1949) di Elio Vittorini (1908-1966). Senza dimenticare quella tragedia, Il calzolaio di Messina (1925), il cui spunto era stato offerto all’autore Alessandro De Stefani (1891-1970) da testi settecenteschi di Jean-Baptiste Labat (Voyages en Espagne et en Italie) e Denis Diderot (Entretien d’un père avec ses enfants), anch’essi con riferimento alla città dello Stretto.

 

 

8. Due commedie di Shakespeare e Molière


Una scena d’epoca da “Lo sventato” (1655),
commedia di Molière ambientata a Messina


Non va sottaciuto, inoltre, che, sebbene in una visione astratta, Messina è stata presa a modello da William Shakespeare (1564-1616) e Molière (1622-1673), per ambientarvi due celebri commedie, rispettivamente Molto rumore per nulla (1589-99) e Lo sventato (1655). Già Matteo Bandello (1485-1561) ambientava a Messina Timbreo e Fenicia, una delle sue celebri Novelle (1554-1573), poi ripresa da Shakespeare. Ma pure La storia di Zoto nel romanzo Manoscritto trovato a Saragozza (1805) del polacco Jan Potocki (1761-1815) ha come scenario una Messina settecentesca.

 

 

9. La leggenda popolare di Colapesce


Bozzetto per “La leggenda di Colapesce” (1985) di Renato Guttuso

Le leggende popolari, che da sempre si tramandano (fra le tante sicuramente valore emblematico assume quella di Colapesce, nota con varianti pure in altri parti d’Italia, in Francia, Spagna e Grecia), le stesse usanze e tradizioni marinare gelosamente custodite e tuttora praticate nell’area dello Stretto, testimoniano ancor oggi la sopravvivenza di questo mito. La leggenda di Colapesce, fra l’altro, è ben nota a Friedrich Schiller, che gli dedicò la celebre ballata Il tuffatore (1797), e a Jules Verne, che fa apparire l’uomo-anfibio messinese in Ventimila leghe sotto i mari (1869-1870) e nel Mattia Sandorf (1885). Si capisce, dunque, perché lo Stretto, oltre a famoso luogo geografico, è diventato pure un autentico e significativo tòpos artistico e letterario, a cui hanno guardato per secoli fino a tutto il ventesimo secolo con rinnovato interesse, scrittori, poeti e pittori.

 

 

10. “Horcynus Orca”: mare, madre e morte


“La traversata notturna dello Stretto” (1986-1989)
di Luigi Ghersi

Chi, però, più di qualsiasi altro scrittore o artista contemporaneo, ha sognato lo Stretto nel mito è senza dubbio Stefano D’Arrigo (1919-1992), l’autore delle poesie di Codice siciliano (1957), che fanno da incunabolo al suo capolavoro, il romanzo Horcynus Orca (1975). D’Arrigo ha avuto l’ambizione, riuscendovi, di dare un grande poema del mare alla narrativa italiana, un genere che non apparteneva alla tradizione letteraria nazionale. Lo scrittore messinese, ideale continuatore dell’épos omerico, non fa altro che perpetuare la condizione dello Stretto come mitico sito geografico e letterario, dove il mare continua a essere elemento di sfida universale tra la natura e l’uomo e può apparire l’orca assassina. Il mostro degli abissi va visto come una grande metafora, perché esso rappresenta le imperscrutabili profondità della psiche umana capace di materializzare il demoniaco, l’incubo onirico, l’incombente tragedia. E anche da questo punto di vista il mondo sommerso dello Stretto, per le sue caratteristiche, si presta assai bene ad acquisire un significato allegorico, potendo il mare essere, insieme, madre e morte.

Da “Kalós”, anno 16 n. 3, luglio-settembre 2004, pp. 8-15.

programma jviair


Torna alla pagina inziale >